Comitato Politico Federale di marzo: la relazione introduttiva

Relazione introduttiva del Segretario provinciale Dmitrij Palagi al Comitato Politico Federale del 05 marzo 2016

Nel nostro paese i tamburi di guerra hanno iniziato a suonare senza lasciare trascorrere troppo tempo dall’unità di Italia. Le spedizioni in Africa non appartengono ad una presunta parentesi del fascismo, il cui imperialismo non fece altro che declinare in modo diverso processi e sentimenti diffusi in ampi strati di borghesia. Vantiamo al contempo una tradizione di pacifismo che poche altre sinistre europee possono rivendicare, guardando alle posizioni dei socialisti italiani, quindi anche prima della nascita della Terza Internazionale. Occorre essere all’altezza della nostra storia e riuscire a promuovere una mobilitazione efficace contro la propaganda che il blocco della NATO sta portando avanti da decenni. Come all’epoca non eravamo liberatori e civilizzatori, in grado di dare nuove opportunità al proletariato italiano, oggi non c’è alcun intervento contro il terrorismo di matrice umanitaria. In un articolo proposto a Le Monde alla fine del 2014, Michael Onfray ha scritto parole importanti contro la guerra francese, che interviene nell’area del Mali da anni, in continuità con la storica presenza coloniale in Africa, anche se con meno clamore delle spedizioni di Bush jr..

«I diritti dell’uomo sono semplicemente un pretesto per perpetuare il colonialismo dietro la copertura, politicamente corretta, dell’umanitarismo, oppure con la scusa, politicamente redditizia, di dover placare le paure dei nostri concittadini […] Se in territorio francese il pericolo di un terrorismo islamico esiste, e ormai esiste, è perché quelli che ieri abbiamo aggredito rispondono oggi alla nostra aggressione. […] Attaccare affermando di agire in maniera preventiva è un sofisma che inganna soltanto le vittime dell’ideologia dominante» (1).

Se è vero che «i media, più che di idee e analisi, si nutrono di patetico» (2) non può sfuggirci come il dibattito politico si stia completamente schiacciando sulla dimensione comunicativa ed emozionale, impedendo ogni riflessione approfondita e la costruzione di un progetto di società (sia esso democratico, liberale, conservatore, socialdemocratico o comunista). Interessanti riflessioni, per quanto parte di un dibattito aperto, sono ovviamente quelle di Chomsky.

«In Occidente ci sono anche altre forme di censura. I media ricorrono a tecniche che non si possono definire esattamente censura, ma che mettono di fatto un bavaglio alle idee. Una volta hanno chiesto al responsabile delle notizie di Nightline – uno dei più importanti programmi d’informazione dell’ABC, condotto da Ted Koppel – come mai io non comparissi in tv, e lui ha risposto in modo bizzarro, usando una parola strana. Chomsky – ha detto – oltre a sembrare un marziano quando parla, tanto che nessuno lo capisce, manca di “stringatezza”. Cosa voleva dire? È una parola un po’ particolare da usare, ma è sintomatica. In pratica significa che devi parlare in modo da condensare il tuo intervento in uno spazio tra uno stacco pubblicitario e quello successivo; insomma, puoi pronunciare tre frasi. […] Quindi hai due scelte: o reciti a memoria le solite frasi propagandistiche frutto della dottrina dominante, oppure passi per un folle. Non ci sono alternative. È ovvio che a queste condizioni tutto risulta appiattito. Non credo esista un programma televisivo in cui vi sia un dibattito serio per mezz’ora di fila» (3).

In assenza di un confronto al di fuori dell’immediata fruizione comunicativa, accentuata dai nuovi mezzi di comunicazione, tutto ciò che sta al di fuori della narrazione condivisa si equivale. Finisce quindi che anche nel campo dell’alternativa trovino pari spazio teorie del complotto e tentativi di seria analisi della società. In un contesto dove i dati del PIL vengono commentati dai telegiornali basandosi su un post di Facebook del Presidente del Consiglio, mentre la risposta dell’opposizione è un tweet di Brunetta, come possiamo pensare di riuscire ad elaborare un costruttivo confronto sulle questioni etiche di frontiera, come quella della maternità surrogata?

Che siano temi di politica internazionale, ambiti morali o letture dei processi economici, produttivi e sociali, penso ci sia un unico modo per uscire dalla palude in cui comunisti e sinistra sono caduti nel blocco occidentale: ricostruire un tessuto sociale partecipato e radicato nella realtà quotidiana, in grado di non inseguire l’agenda dettata dal sistema di informazione, ma rifiutando un isolamento elitario proprio della setta convinta di custodire una verità assoluta.

L’organizzazione e la linea politica si costruiscono attraverso un processo articolato di sedimentazione, fuori dagli slogan che incitavano a trovare le risposta “in basso a sinistra”.  Gesti eclatanti contro l’annunciata guerra in Libia sono necessari, ma devono accompagnarsi al lavoro di elaborazione praticato durante il mese di febbraio all’interno della nostra Federazione, da rendere fruibile a tutti i territori e riproporre in un processo di confronto con tutte e tutti (iscritti o simpatizzanti che siano).

Il referendum costituzionale deve essere vinto con tutti i mezzi, aggiungendo la prospettiva dei comunisti alle ragioni del no alla deforma voluta da Renzi.

In questi mesi numerose sono state le critiche arrivate rispetto a ciò che stiamo elaborando, come pratiche e teoria, sul nostro territorio. Il punto comune riguarda una inadeguatezza rispetto alla fase, che riassumerei semplicisticamente in un “non basta, serve altro”. In particolare è capitato di ricevere un’osservazione rispetto alla natura riflessiva propria della linea politica della Segreteria provinciale. Ogni osservazione è positiva perché rende testimonianza di una realtà viva e non paralizzata nelle infinite vicende della sinistra frammentata ed autoreferenziale, capace di non dedicarsi solo ai rapporti con le altre organizzazioni con cui pure condividiamo importanti battaglie (e a cui abbiamo scritto una lettera aperta due giorni fa). Senza pretendere che la strada intrapresa sia quella giusta, dopo questi primi 6 mesi, vi propongo di arrivare al prossimo Congresso verificando se non vi siano degli aspetti positivi rispetto alle modalità con cui stiamo lavorando, nei limiti dei tempi e degli spazi che possiamo permetterci in un’organizzazione che deve anche saldare dei debiti economici ed è da anni in calo di iscritti e rappresentanza istituzionale.

Una penna del partito ed un manifesto del tesseramento sono poca cosa, non ci porteranno avanti rispetto alla situazione in cui siamo: la loro assenza invece ci fa fare passi indietro, come hanno segnalato negli ultimi anni i territori, in cui prevale un sentimento di preoccupazione e di distacco rispetto ai gruppi dirigenti provinciali, regionali e nazionali.

Spingere sul piano volontaristico e sull’illusione che uno sparuto gruppo di giovani abbia la giusta linea potrebbe forse portare maggiori risultati. Ma sono convinto che la strada delle facili intuizioni sia stata già battuta, in anni che sembrano ben più distanti del decennio effettivamente trascorso.

Con grande umiltà e spirito di servizio proseguiremo quindi per i prossimi mesi con determinazione, tentando di concludere la fase politica che precede il congresso con una festa a luglio dedicata alla formazione, con un seminario interno e gli eventi pubblici serali, ed una nuova festa nazionale a settembre, se riusciremo a concordarlo con gli altri livelli del Partito.

Nel frattempo insisteremo anche su alcune riflessioni rispetto alle forme della politica e del potere, sia nel campo della politica estera, sia in quello della comunicazione e della gestione del consenso, sia in quello dei rapporti tra capitale e lavoro.

Con la certezza e la convinzione che il Partito della Rifondazione Comunista deve essere utile alle proprie classi sociali di riferimento, anche attraverso la costruzione di un dibattito interno acceso, ma sempre teso a guardare all’esterno e a ciò che possiamo fare per chi non ha altro che la propria forza lavoro per sopravvivere mese dopo mese.

(1) Michel Onfray, Pensare l’Islam, Ponte alle Grazie, Milano, 2016, pp. 17-18.

(2)  Ivi, p. 20.

(3) Noam Chomsky con Andre Vltchek, Terrorismo occidentale, Ponte alle Grazie, Milano, 2015, pp. 51-52.

campagnatesseramento

Lascia un commento