Relazione introduttiva del Segretario provinciale, Dmitrij Palagi, al Comitato Politico Federale del 30 novembre 2015 – In PDF cliccando qui.
Lo stesso significato di “politica” ci dovrebbe riguardare, perché indica il contesto in cui siamo convinti di muoverci. Si sono modificati tutti gli spazi di aggregazione, non solo quelli di studio o di lavoro, così come sono mutate le relazioni sociali, in ogni ambito del quotidiano (dalla fruizione dei film alla partecipazione agli eventi sportivi). Stando alla tradizione istituzionalizzata e prevalente in ambito accademico, semplificando, possiamo tracciare un percorso che va da una definizione aristotelica di scienza od arte del governo “sulle cose della città” all’insieme di attività che si riferiscono allo Stato. L’attività politica rientra nell’ambito delle pratiche umane e non ha senso se viene separata dal concetto di potere, nonostante a sinistra si guardi con eccessivo sospetto e pregiudizio a tale parola, poiché tradizionalmente altro non è che “l’insieme dei mezzi che permettono di conseguire gli effetti voluti”. Stando ai dati diffusi dall’Ocse, nei paesi che aderiscono all’organizzazione internazionale di studi economici “la crisi ha esacerbato le disparità di reddito”[1]. In Italia si è registrata una situazione peggiore rispetto alle altre nazioni, con il 10% della popolazione più ricca che ha un reddito pari a 11 volte quello del 10% della popolazione più povera. Disuguaglianza di reddito da lavoro, dispersione salariale conseguente alla diffusione dei contratti atipici contribuiscono ad una situazione nazionale in cui “l’1% più ricco della popolazione detiene il 14,3%”[2]. Possiamo facilmente immaginare quanto questa ristretta fascia di persone privilegiate dall’attuale sistema economico e sociale, seppure unanimemente definito “in crisi”, sia disponibile ad un sistema di redistribuzione delle ricchezze in modo più equo. In questo quadro non a caso assumono sfumature rivoluzionare proposte sostanzialmente riformiste come quelle di Mariana Mazzucato, Thomas Piketty e Joseph Stiglitz. Un recente testo di Anthony B. Atkinson ha come titolo: “Disuguaglianza. Che cosa si può fare?”. Nello svolgersi delle argomentazioni ci viene ricordato che anche milionari come Bill Gates dichiarano di avere a cuore il problema della redistribuzione delle ricchezze, sicuramente diventato un argomento corrente ed in voga anche in ambienti moderati (oggi si direbbe che è un tema mainstream)[3]. Luciano Gallino, recentemente scomparso, era un intellettuale di formazione moderata, distante dalla tradizione del comunismo: a nessuno di noi oggi mancherebbe però l’onesta di annoverarlo tra gli autori di riferimento rispetto alla denuncia e all’analisi dei meccanismi perversi del capitale e delle loro conseguenze[4]. Una riflessione sul superamento della categoria socialdemocratica è necessaria anche per chi insiste a richiamarsi alla tradizione comunista, poiché nelle società occidentali le proposte che un tempo si sarebbero definite “riformiste” o “moderate” vengono percepite come “estreme”, seppure inevitabili per l’uscita dalla crisi secondo alcuni. Si tratterebbe infatti di obbligare chi negli ultimi decenni si è arricchito a cedere parte delle proprie risorse e dei propri privilegi: anche in questo elemento di costrizione risiede la centralità del potere politico. Non c’è purtroppo il tempo per approfondire su come quest’ultimo si relazioni con il potere economico e quello sociale, anche se non è rimandabile e su questo aspetto si stanno impegnando progressivamente alcune compagne e compagni. In questa descrizione la natura dell’azione del partito politico, rimanendo al “Dizionario di politica” di Bobbio, Matteucci, Pasquino, “è essenzialmente diretta alla conquista del potere politico all’interno di una comunità”. La forma organizzativa è uno strumento per una finalità che risiede nel progetto di società che si vuole realizzare.
Alla fine del XIX secolo la Comune di Parigi ha rappresentato un evento significativo in grado di produrre nel pensiero di Marx forti tensioni, costringendolo “ad affrontare temi decisamente nuovi”[5]. All’inizio del XX secolo è la rivoluzione dell’ottobre russo a segnare una cesura storica, con un giovane Antonio Gramsci che scrive della “rivoluzione contro il Capitale” (intesa cioè come una rivoluzione che tradisce completamente le aspettative della principale opera del filosofo di Treviri). È dal secondo dopoguerra che nell’Europa occidentale le comuniste e i comunisti si pensano organizzati in una forma partito istituzionale che principalmente partecipa alle elezioni democratiche come misura di consenso sociale.
Oggi “i partiti in molte democrazie sono passati da uno stato in cui erano dipendenti da una organizzazione, composta di iscritti e di funzionari, che forniva le risorse, a uno nel quale sono soprattutto le risorse pubbliche a tenerli in vita”[6]. Tralasciando le specifiche mutazioni del ruolo dello Stato durante “il secolo breve”, con la conseguente trasformazione delle forme di mediazione politica (compresi i partiti politici), possiamo ammettere che “i partiti hanno finito per trasformarsi in pubbliche agenzie con un indebolimento sia della loro autonomia, sia della loro organizzazione”[7]. Se lo Stato si è appropriato di uno spazio sempre maggiore, allontanando i luoghi interni delle organizzazioni sociali dai processi decisionali, il passaggio al XXI secolo ha visto una cessione di sovranità dalle dimensioni nazionali a un insieme di istituzioni e relazioni sovranazionali che hanno ulteriormente segnato uno svuotamento della parola “politica” nell’immaginario diffuso. “Negli ultimi venti anni si è realizzata una svolta generale nei regimi politici europei […] in cui contano sempre meno le organizzazioni politiche dei cittadini e sempre di più i media e le personalità dei leader. I cittadini sono chiamati solo a svolgere il ruolo di popolo-elettore, che decide il voto o l’astensione dopo aver assistito allo spettacolo della campagna elettorale messo in atto da professionisti specializzati”[8].
Se è vero che i sondaggi sono sempre meno attendibili è parimenti accettato che questi continuino ad essere un punto di riferimento per misurare le tendenze del clima politico durante i periodi non elettorali, tanto da produrre senso comune a prescindere dalla loro validità. Il CISE di Roberto D’Alimonte ha pubblicato su Il Sole 24 Ore del 29 novembre le intenzioni di voto rilevate tra il 16 e il 24 dello stesso mese, con un margine di errore stimato del 2,5%. Sinistra Italiana, SEL e Rifondazione Comunista sono tutte sotto tale soglia, con il nostro partito stimato allo 0,2%[9]. Ovviamente sono cifre prive di qualsiasi attendibilità, poiché il simbolo del PRC non viene più presentato ad un’elezione nazionale da prima del 2008, mentre la nuova formazione di cui fa parte Fassina, sullo stesso quotidiano di Confindustria, anche se in un altro articolo, viene definita una “Sel rafforzata”[10]. Manca in questa stima inoltre la formazione di Civati, Possibile. Comprensibilmente l’attenzione verso la cosiddetta “sinistra radicale” non è tale, da parte degli ambienti organici al nuovo corso politico del paese, da impegnarsi a una disamina di gruppi appena nati e già intenti a misurare le distanze tra loro. Il nostro stesso partito è utile strumento di discussioni interne tra le diverse anime fuoriuscite dal Partito Democratico, utilizzato come giustificazione per non andare fino in fondo ai processi unitari. Se però tutto questo attiene ad un livello della politica avvertito come distante dai cittadini e da cui forse è impossibile uscire senza processi che dall’esterno dei soggetti organizzati ci costringano a superare i nostri limiti, dovrebbe preoccupare il numero di intervistati che si dichiara a favore del referendum confermativo sulla riforma costituzionale: 68,3%. Le elezioni amministrative del 2016 sono considerate meno rilevanti dell’appuntamento di autunno, verso cui sono impegnati numerosi settori della società civile, oltre a costituzionalisti ed intellettuali sinceramente democratici. Tanto noi riteniamo grave l’ulteriore scardinamento della Carta conquistata dalla Resistenza, altrettanto l’opinione pubblica viene sollecitata al “taglio degli sprechi”, dove questi ultimi sono identificati nella presunta abolizione del Senato e in un indebolimento delle competenze legislative del Parlamento.
In coda prima dell’ingresso ad un concerto, come in molte altre situazioni, è possibile ascoltare, in seguito ai tragici eventi di Parigi, commenti che invitano scherzosamente i terroristi ad attentare Palazzo Chigi, “così risolviamo tutti i problemi”. Se si valuta che ormai la politica sia inutile questa pratica attiene ad un gruppo di individui che aspira a vivere senza lavorare. Tale sentimento, liquidato con troppa semplicità con la definizione di anti-politica, sta diventando maggioritario anche all’interno dei processi conflittuali che si oppongono al Governo Renzi. In un testo denso di spunti discutibili, Marco Revelli, nello scrivere in merito al superamento della dicotomia “destra-sinistra”, scrive: “nel nuovo spazio politico come spazio mediatico, mentre la rappresentanza politica (di mandato) si ritira fin quasi a ridursi a un simulacro, la rappresentazione celebra il proprio trionfo”[11]. Possiamo riscontrare come sia comunemente accettato che la politica oggi si riduca alla fruizione mediatica, televisiva o telematica che sia, mentre l’attività e il coinvolgimento diretto (la militanza) si riducono in ambiti minoritari. Il bacino elettorale a cui riesce a parlare la sinistra è principalmente composto da chi resiste nell’associazionismo o, sempre meno, nell’attività sindacale, mentre sia il Movimento 5 Stelle che la Lega Nord vedono sopravvalutato il loro effettivo radicamento sociale.
Non dobbiamo indagare solo la crisi delle forme di rappresentanza e il venire meno del ruolo tradizionale svolto dai partiti all’interno dei paesi europei, dobbiamo riconoscere quanto profondamente è cambiato il contesto nel quale ci muoviamo, sapendo che la tendenza in atto prevede un ulteriore isolamento degli individui all’interno della società.
In maniera provocatoria possiamo ipotizzare una pratica politica che vive la dimensione mediatica come separata dal radicamento sociale, senza dimenticare che in Italia, per quasi un secolo, anche le comuniste e i comunisti hanno individuato nel consenso elettorale un criterio sempre più esclusivo di conferma della linea politica anche strategica.
Nei prossimi mesi dedicheremo un Comitato Politico Federale alla questione del Partito, su cui si sono attivati alcuni gruppi di iscritti e simpatizzanti, però alcune note erano necessarie per argomentare il perché proponiamo al Partito di confermare la scelta di non abbandonare il percorso unitario che porterà all’assemblea di metà gennaio 2016. Dobbiamo ripensare a ciò che siamo alla luce del progressivo isolamento sociale della nostra organizzazione (condiviso con tutte le altre realtà della sinistra italiana), senza però illuderci su impossibili svolte che giustifichino l’abbandono dell’unico spazio alternativo al Partito Democratico nella percezione della maggioranza assoluta delle persone. L’identità comunista è ciò che ci spinge a non lasciare una militanza faticosa ma che in questi mesi ci ha garantito diverse soddisfazioni, dalla festa nazionale ad una ritrovata partecipazione alle manifestazioni di compagne e compagni sotto le nostre bandiere. Occorrono consapevolezza ed umiltà nel riconoscere che questa nostra specifità deve essere ridefinita, accettando di insistere sul piano della quotidianità per incidere il prima possibile e certi che laddove riusciremo ad invertire la tendenza avremo trovato quelle energie nuove che sapranno travolgere le ragioni di quei dirigenti che in questi anni hanno inseguito le ragioni del centrosinistra e a cui in molti di noi guardano con diffidenza. Se temiamo i rapporti di forza con realtà piccole quasi quanto noi, come possiamo immaginarci in grado di svolgere un ruolo all’interno dei rapporti di forza tra capitale e lavoro?
Possiamo svolgere un ruolo parziale come federazione fiorentina, ma non rinunciamoci scegliendo strade o polemiche più facili e già battute.
Il Segretario provinciale, Dmitrij Palagi, Firenze, 30 novembre 2015
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[1] Radiocor, Ocse: in Italia aumentano povertà e disparità di reddito, Il Sole 24 Ore 21.05.2015, online qui.
[2] Redazione economia, Ocse, in Italia il 14,3% della ricchezza in mano all’1% della popolazione, il Corriere della Sera, 21.05.2015, online qui.
[3] Anthony B. Atkinson, Disuguaglianza. Che cosa si può fare?, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015.
[4] Rispetto a questo pensiero si è espresso efficacemente, su Facebook, Lorenzo Zamponi, da cui ho liberamente ripreso parte di questa espressione.
[5] Ernesto Ragionieri, “Marx e la Comune”, in Ernesto Ragionieri, La Terza Internazionale e il Partito Comunista Italiano, Torino, Einaudi, 1978, p. 11.
[6] Luigi Musella, Il potere della politica, Roma, Carocci, 2015, p.7.
[7] ivi, p. 8.
[8] Roberto Biorcio, Il populismo nella politica italiana, Milano-Udine, Mimesis, p. 8.
[9] Roberto D’Alimonte, Sui nodi italiani partiti poco credibili, il Sole 24 Ore, 29.11.2015, p. 5.
[10] Emilia Patta, Pd-Sel, Salvini, Alfano: tutti i nodi verso il voto, il Sole 24 Ore, 29.11.2015, p. 11.
[11] Marco Revelli, Post-Sinistra, Roma-Bari, 2014, Editori Laterza – la Repubblica, p. 64.
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