Assistenza domiciliare e fragilità tra le classi lavoratrici: occorrono tutele

Segreteria Provincialedi Firenze Rifondazione Comunista – SE

La salute di chi lavora a contatto con l’utenza dovrebbe essere la priorità, a partire dall’impegno a non diminuire le categorie protette.Prevenire possibili focolai è nell’interesse di tutte e tutti, tranne di chi pensa solo a tutelare le logiche del profitto a qualsiasi costo (umano)

Rifondazione Comunista è al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi di assistenza domiciliare in appalto del Comune di Firenze, e delle organizzazioni sindacali impegnate a sostenere la loro lotta, in questa nuova fase della pandemia.

Si tratta di soggetti che svolgono attività essenziali di assistenza diretta alla persona, come la cura dell’igiene e la preparazione del pasto per persone anziane e/o diversamente abili, oltre a servizi di supporto e monitoraggio alla persona come spese, pulizie dell’alloggio e accompagnamenti.

Con la seconda ondata di Covid-19 la pandemia è arrivata in questo settore.

Si sono verificati diversi casi di positività tra l’utenza e quindi chi operava al loro fianco è dovuto restare a casa in attesa del tampone: il rischio è che si ripeta quanto avvenuto nelle Residenze Sanitarie Assistenziali, con il conseguente scoppio di focolai.

Chi svolge questo lavoro chiede misure atte a contrastare e contenere le criticità rispetto alla sicurezza e alla prevenzione, rispetto alla pandemia Covid-19, dato che il rischio diretto, intrinseco a mansioni così particolari di cura alla persona, dove spesso capita di assistere anche un’utenza esentata dall’indossare la mascherina per motivi clinici, aumenta ogni giorno di più.

In particolare, gli operatori e le operatrici chiedono di poter limitare il più possibile la permanenza dentro spazi chiusi, in modo da tutelare la salute sia di chi assiste sia di chi riceve assistenza, senza che però venga intaccata la piena retribuzione, data la forte componente di rischio che segna le attività.

Si ritiene inoltre gravissimo il fatto che alle operatrici e agli operatori che svolgono queste mansioni spesso sia stato effettuato un solo controllo, sierologico, nel mese di marzo: è evidente la necessità di un maggiore monitoraggio tramite tamponi da effettuare periodicamente.

Sintomo di scarso interesse per la salute di chi lavora è anche la modalità con cui viene gestita la situazione delle lavoratrici e dei lavoratori fragili, cioè di chi, a causa di determinate patologie, dovrebbe essere dispensata o dispensato dalle mansioni che espongono a rischi, in questo caso sicuramente troppo elevati.

Se fino allo scorso luglio queste persone potevano usufruire del permesso per malattia dovuto al rischio di contagio, grazie al codice V07 che anche i medici di base potevano usare nel certificato, oggi questo diritto non è più riconosciuto. Da luglio la situazione è radicalmente cambiata poiché la situazione di questi casi è passata sotto la “giurisdizione” del personale medico competente e, quindi, delle aziende.

Cosa ha significato questo? Che non si può più andare in malattia per la propria condizione di forte rischio. Quindi, per preservare la propria salute, queste lavoratrici e questi lavoratori sono costretti a usare permessi non retribuiti, a mettersi in aspettativa non retribuita o ad usufruire delle ferie maturate. Molti e molte hanno chiesto un cambio di mansione o di poter passare alla modalità di lavoro a distanza, ma senza risultato, sebbene fosse previsto dai vari decreti del Governo. Ancora una volta diverse aziende hanno dimostrato di non tenere in nessun conto la sicurezza nei luoghi di lavoro, anche in spregio alle leggi.

La situazione, dall’estate, si è aggravata anche perché non solo non viene più riconosciuta la casistica indicata dal codice V07, ma addirittura i medici competenti e le aziende hanno aperto la strada ad un’interpretazione assai restrittiva di “fragilità”. Se prima rientravano in questa categoria tutte le lavoratrici e i lavoratori che presentavano più di una patologia, adesso per le imprese si considera “fragile” solo chi è immunodepresso/a o affetto/a da patologie oncologiche. Il tutto in contrasto con quanto dicono le statistiche sulla presenza di più patologie nelle persone decedute risultando positive al SARS-Cov-2. Questa distinzione, quindi, ci appare giustificabile solo secondo logiche legate a un’economia malata di disumanità.

Non si vogliono trovare risorse per tutelare i settori più fragili delle classi lavoratrici, ma anzi la tendenza è di mandarli allo sbaraglio il prima possibile.

Inaccettabile ed assurdo che tali categorie rientrino in servizio con una situazione che ogni giorno è sempre più critica.