Aggressione a due dipendenti comunali: solidarietà, preoccupazione e una riflessione sull’assistenza sociale

Aggressione a due dipendenti comunali: solidarietà, preoccupazione e una riflessione sull’assistenza sociale

Partito della Rifondazione Comunista, Federazione di Firenze – 07 ottobre 2018

«Ti uccido. Mi hai rubato la pensione». Con queste parole un anziano ha cercato di entrare venerdì mattina nella sala riunioni del centro sociale di Gavinana, con un coltello in mano, fermato dall’operatore comunale al front office e poi dall’assistente sociale stesso.

Solidali con i due dipendenti comunali, preoccupati per l’incolumità degli operatori, non possiamo non interrogarci sui motivi che hanno indotto un uomo di 74 anni all’aggressione, tanto più all’interno di un centro sociale che dovrebbe essere il luogo in cui ogni cittadino in stato di necessità trova ascolto e sostegno. L’episodio ha lasciato disordine, qualche urlo, le sirene della polizia e tanta tanta disperazione.

La condizione è quella di un anziano in carico ai servizi sociali, al quale è stato assegnato un amministratore di sostegno da parte del tribunale.È verosimile, in base alla nostra esperienza, che ognuno dei soggetti in campo, assistente sociale, giudice e amministratore di sostegno, si siano comportati nel rispetto delle norme e delle procedure, sulla base della legge del 2004 (che ha istituito l’amministratore di sostegno) e dei Regolamenti comunali. Ma, in base al nostro vissuto, vediamo come il rispetto della legge e delle procedure sia inadeguato a gestire i casi sociali che sempre più si presentano ai servizi.

Il giudice è infatti sollecitato a nominare un amministratore di sostegno dalla relazione dell’assistente sociale, relazione che di per sé è il segno di un fallimento professionale, per lo più causato dall’impossibilità di dare risposte vere, di avere tempo da dedicare all’ascolto e alla ricerca di soluzioni da parte dell’assistente sociale: si dice, nei corridoi, che il continuo trasferimento di assistenti sociali sia uno degli strumenti dell’amministrazione per ovviare al burn out di questi operatori, così come le assunzioni a tempo determinato: perchè è umanamente pesante e professionalmente frustrante venire a conoscenza di tante situazioni di difficoltà e non avere a disposizione strumenti adeguati per dare soluzioni. Che si tratti di lavoro, di casa, di solitudine, di assistenza, ecc., è evidente che gli strumenti per dare soluzioni vere non sono in mano agli assistenti sociali.

Altra questione è quella degli amministratori di sostegno, che spesso sono professionisti che non hanno mai conosciuto l’assistito al momento in cui assumono l’incarico e che successivamente hanno con questi sporadici incontri: a loro però sono affidate le risorse economiche degli assistiti, al loro buon senso e sensibilità. Altre volte si tratta di familiari nominati amministratori di sostegno, forse in maniera troppo frettolosa e poco controllata per essere certi che siano effettivamente di sostegno dell’assistito.

Il giudice ha poco tempo da dedicare a queste pratiche e ancora meno per controllare, nei tempi successivi, che sia l’interesse dell’assistito ad essere effettivamente amministrato.

Si tratta quindi di un percorso complessivamente inadeguato a garantire l’interesse della persona assistita che, è bene ricordarlo, è qualificata come caso sociale, cioè persona con diverse e complesse difficoltà.

C’è da chiedersi se anche in questo caso l’assistito sia stato adeguatamente infornato degli effetti della nomina del suo amministratore di sostegno, se abbia capito che la pensione di cui è titolare sarebbe stata riscossa dall’amministratore e che questo ne avrebbe disposto secondo delle priorità che forse lui non condivideva.

Fa parte della nostra esperienza avere incontrato situazioni in cui l’amministratore di sostegno in buona fede accettava di dare 50 euro alla settimana all’assistito “se si comportava bene”, ignorando del tutto, ad esempio, come un uomo di 70 anni non sia proprio nella condizione di un bambino a cui si passa la paghetta.

È urgente affrontare il tema dell’assistenza sociale in modo che l’assistito non sia trattato come un caso, secondo procedure standard, per essere invece ascoltato e compreso nei suoi specifici bisogni, nel riconoscimento di debolezze e vizi; che gli assistenti sociali siano messi in grado di svolgere bene il loro lavoro, non più come pseudo amministrativi a controllare l’Isee, ma come professionisti capaci di trattare con persone in difficoltà e di avere a disposizione risposte concrete su cui iniziare il percorso e realizzare il progetto; che l’amministratore di sostegno diventi una figura di sostegno all’assistito e non solo di esattore delle entrate e gestore delle uscite, paravento delle difficoltà insormontabili dell’assistente sociale.

Che infine e prima di tutto l’Amministrazione Comunale, la ASL e le istituzioni connesse operino per rimuovere le cause dell’emarginazione e del disagio sociale (alloggi comunali, mense pubbliche, inserimento lavorativo, assistenza domiciliare ecc.) destinando risorse adeguate al bisogno delle persone in difficoltà.

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